MANCHESTER BY THE SEA

Ci sono voluti più di tre giorni, e forse ancora non bastano, per smaltire tutta l’angoscia che mi è entrata in circolo guardando questo capolavoro al cineforum martedì sera, turno capitato ad hoc per questo meraviglioso film che l’anno scorso ha fatto incetta di premi . . . . .stra meritati.

Kenneth Lonergan, il regista, uno che in sedici anni di carriera ha fatto solo tre film, ci mette davanti al festival del dolore, l’elogio della sofferenza: uno di quei film che ti martelli le palle alla Tafazzi e sei supercontento di farlo. Perchè è un piacere sedersi in poltrona davanti ad un opera di così alto spessore.

Di alto spessore è la recitazione di Casey Affleck, il protagonista, che gli è valsa la statuetta per miglior attore protagonista.

Lee è un uomo che fa tutti i santi giorni i conti con un passato drammatico e straziante che non lo lascia stare, un uomo che ha scelto l’isolamento e la lontananza da casa per provare a fuggire dal dolore, ma che in realtà galleggia tra un lavoro odiato e qualche birra di troppo al bancone del bar. Zero rapporti con le altre persone se non la voglia sconsiderata di farsi picchiare e accentuare il dolore dentro con quello fisico.

Di colpo viene a mancare suo fratello e si trova costretto a tornare al paese per prendersi cura del nipote adolescente, di cui diventa il tutore legale. Inizia così una relazione contrastante tra lo zio “inutile” e “morto” ed il giovane pieno di vita e di voglia di vivere.

Il contrasto tra la morte dentro e l’esplosione della vita è il tema portante del film, lo zio che rifiuta ogni tipo di interazione con le donne e con le persone in generale e il nipote che invece ha addirittura due/tre ragazze e vive le prime esperienze sessuali.

Lee vive nel silenzio, i suoi “va bene” sono il manifesto della rinuncia a vivere, combattere; il passato ed il senso di colpa sono troppo forti e troppo dolorosi . . . . non vi scrivo qui cosa è successo nel passato di questo uomo distrutto, ma soltanto che in mezzo al film ci sono dieci minuti in cui tutto è raccontato magistralmente sulle note dell’ “Adagio di Albinoni” che a me emoziona sempre perchè mi riporta a ” An American Prayer” di Jim Morrison e alla bellissima ” A feast of Friends “.

Solo verso la fine del film, la storia apre ad un possibile riscatto del protagonista , prima con il colloquio per strada con la ex moglie ( una scena davvero intensa e toccante ) e poi con la semplicità di un lancio con la pallina. Gesto davvero molto significativo.

Ma il regista decide di non darci una risposta definitiva. . . . restiamo con la possibilità ma non la verifichiamo.

Il racconto viene narrato facendoci scoprire il passato del protagonista poco per volta, attraverso l’utilizzo del flashback. Scelta più che lodevole. Risulta chiaro il cambiamento tra il Lee di prima e il Lee del presente.

Io mi sono emozionato molto, anche se non ho pianto.

Ma mi sono riempito di dolore, angoscia e tristezza. L’ho vissuto con empatia.

E comunque ogni volta che guardo un film così sento di infilare una monetina d’oro nel salvadanaio della vita. Mi arricchisco.

NORWEGIAN WOOD

Ieri sera ho finito di leggere NORWEGIAN WOOD di Haruki Murakami e sono ancora tutto scosso dall’emozione di questo romanzo davvero pazzesco che purtroppo ho letto in troppo tempo. Infatti l’ho iniziato quest’estate e poi l’ho lasciato sul comodino per troppi mesi ( anche se in realtà ero impegnato a finire di scrivere il mio di libro ). Ma un libro di tanta bellezza non può durare sette mesi, infatti in questi giorni, avendo tempo, ho letto le ultime duecento pagine in circa settantasei ore.

Murakami è un autore che non conosco, so per certo che è il preferito di un mio amico, e ricordo ancora il giorno in cui ero in libreria e davanti a tutti i libri del giapponese ho scattato una foto mandandola via whatsup a questo mio amico, chiedendogli consiglio su quale acquistare. Giusto il tempo di un giro per tutto il negozio e la risposta è arrivata decisa e netta. ” Norwegian Wood, è il mio libro preferito! “. Mi fido. Compro.

La prefazione che c’è in questa edizione è stata utilissima per conoscere velocemente la storia dell’autore e la sua produzione letteraria, le influenze e i traguardi raggiunti. Utile anche per scoprire  che nella precedente edizione italiana il titolo era TOKIO BLUES ( quello me lo ricordavo ) e sopratutto che questo romanzo si dissocia completamente da tutto quello scritto da Murakami finora.

E’ un romanzo sentimentale che mi piace definire POP, per quanto si avvicina alla mia concezione di scrivere. Riferimenti a dischi, film, altre letture riempiono la narrazione dandole un valore aggiunto notevole. L’esplicita descrizione delle emozioni dei giovani protagonisti e delle vicende sessuali che li travolgono appassionano tantissimo.

Sia chiaro, non è un romanzo erotico, e non siamo nemmeno davanti ad un Bukowski, ma nel racconto della vita di un giovane appena ventenne non si può giustamente prescindere dalle esperienze che riguardano la droga, l’alcool, la masturbazione e le donne, anche se poi l’introspezione che meglio arriva in fondo al cuore riguarda i tormenti esistenziali ed amorosi di un ragazzo con un grosso valore etico alla continua ricerca del “giusto” pur sapendo che quel ” giusto ” potrebbe causare malinconia e sofferenza.

Watanabe, questo è il nome del protagonista che ormai trentasettenne narra in prima persona le vicende che lo hanno fatto crescere nei suoi primi due anni da maggiorenne, è un giovane studente universitario che divide la sua giovane età tra il ricordo di un amico morto suicida, i dischi dei Beatles, l’amore per Naoko ( ragazza fragile e psichicamente malata ), l’amore per Midori ( ragazza piena di vita nonostante le disgrazie che le sono capitate ), qualche lavoretto saltuario, i rapporti occasionali con donne appena conosciute grazia all’amico “Lucignolo” ( cosi piace chiamarlo a me ) e una depressione di fondo che lo porta spesso ad isolarsi alla ricerca del suo io più giusto e più pronto a diventare adulto.

Un viaggio lungo due anni nel Giappone del ’68, tra contestazioni studentesche e dischi europei che ancora destavano scalpore per la generazione adulta.

I Beatles suonano quasi interamente la colonna sonora del libro, grazie a Reiko, donna di mezza età che vive con Naoko nella clinica per l’igiene mentale. E’ le il mio personaggio preferito di tutta la storia. Il suo essere mentalmente cosciente dei suoi problemi e la leggerezza con cui ci convive la rendono così affascinante da farmene quasi invaghire. . . ed il merito di tutto questo è senza dubbio nella capacità dell’autore di scrivere.

Un autore davvero straordinario che sicuramente approfondirò.

A questo libro devo anche la scoperta di alcuni pezzi dei Beatles che mi erano sfuggiti,in particolare proprio quello che da il titolo al romanzo . . .

cercatelo e chiudete gli occhi. . .

w John Lennon

w Murakami.